Il nodulo tiroideo rappresenta una delle più comuni lesioni nella pratica clinica. Recentemente sono stati pubblicati dati che indicano che nel 50% della popolazione sono presenti noduli tiroidei evidenti alla ecografia.
La causa della presenza di noduli tiroidei può essere ereditaria, familiare, da zona di provenienza, da irraggiamento esterno o da traumi locali (cisti emorragica). In genere la presenza di uno o più noduli tiroidei si associa ad una normale funzione tiroidea mentre è abbastanza raro avere un quadro di iper o ipotiroidismo. Ne parliamo con il Prof. Francesco Lippi, endocrinologo del Centro Medico Visconti di Modrone, docente della Scuola di Endocrinologia di Pisa.
Il mezzo diagnostico più semplice e meno invasivo per valutare la ghiandola tiroide è la ecografia. Sempre con la ecografia tiroidea volumetrica si stabilisce il volume della ghiandola e dei noduli e la loro struttura che può essere solida (formata da cellule), mista (in parte solida ed in parte liquida) e liquida. La maggioranza dei noduli tiroidei è prevalentemente benigna (circa il 90%) e fra questi molti hanno dimensioni inferiori al centimetro (micronodulo) e, se non vi sono caratteristiche ecografiche di sospetto, devono essere solamente seguiti nel tempo con controlli ecografici periodici. I noduli tiroidei che hanno un diametro superiore al centimetro devono essere invece valutati in particolare se hanno una struttura solida.
Il mezzo diagnostico meno invasivo e assolutamente indolore per conoscere la natura citologica del nodulo tiroideo è l’agoaspirato con ago sottile (FNAb). In genere l’agoaspirato tiroideo permette di avere una risposta citologica con una affidabilità fino al 90%. La recente classificazione internazionale della FNAb include: Tir1 (materiale insufficiente o inadeguato per la diagnosi), Tir1C (materiale proveniente da un nodulo cistico o misto), Tir2 (materiale costituito da cellule tiroidee follicolari benigne), Tir3A (nodulo a struttura microfollicolare quindi ricco di cellule senza alterazioni cellulari o a basso rischio), Tir3B (nodulo a struttura microfollicolare con alterazioni cellulari nucleari o citoplasmatiche o ad alto rischio), Tir4 (nodulo sospetto per carcinoma) e Tir5 (nodulo indicativo di carcinoma).
Fino a poco tempo fa i noduli con citologia Tir1, Tir2 e Tir3A potevano essere trattati o no con terapia ormonale a seconda della scuola di pensiero e delle caratteristiche del paziente. Infatti molti sono le pubblicazioni a favore di una terapia con ormone tiroideo sintetico a dosi soppressive la secrezione del TSH allo scopo di evitare la crescita dei noduli tiroidei. Altri autori suggeriscono di non eseguire alcuna terapia. La maggioranza dei noduli non hanno variazioni del volume nel tempo in particolare se in trattamento. Al contrario, nei noduli che tendono a crescere, sia che essi siano in trattamento ormonale oppure in quelli che di base hanno un volume particolarmente importante la tendenza è quella chirurgica (tiroidectomia parziale o totale).
Recentemente sono state utilizzate delle nuove metodiche che permettono di trattare i noduli tiroidei in modo non invasivo ottenendo da una parte l’assenza di complicanze e dall’altra la riduzione del nodulo entro pochi mesi. In particolare nei pazienti che hanno controindicazioni all’intervento chirurgico o nei pazienti che rifiutano l’intervento l’uso della radiofrequenza (RFA) è ottimale.
La radiofrequenza sfrutta le onde generate da una sorgente che sono trasmesse al nodulo tiroideo attraverso un ago e che, grazie all’aumento della temperatura interna, causano una necrosi coagulativa cellulare. La procedura è semplice, non invasiva e può portare ad una riduzione del volume del nodulo di circa il 70-90% dopo 6 mesi. Il protocollo prevede la misurazione volumetrica della ghiandola tiroidea e dei noduli con l’uso della ecografia e con il color doppler, l’agoaspirato tiroideo che dimostri una risposta citologica compresa tra Tir1, Tir2 e/o Tir3A, e una normale funzione tiroidea.
La tecnica viene eseguita in unica seduta, in regime di day hospital, in anestesia locale, mediante l’uso di un apposito ago che, collegato ad una sorgente di RFA ed inserito nel nodulo, permetta di ottenere la necrosi coagulativa delle cellule che compongono il nodulo stesso. La seduta ha una durata di circa 30 minuti, successivamente il paziente rimane in osservazione per circa due ore fino alla dimissione che avviene nello stesso giorno. Nei giorni successivi il paziente può riprendere lo stile di vita precedente senza alcuna controindicazione.
A distanza di 6 mesi il paziente viene sottoposto a nuovo controllo ecografico con dosaggio ormonale per determinare il risultato della terapia eseguita.
Gli studi sull’uso della radiofrequanza nelle tireopatie nodulari sono già pubblicati in letteratura ed ulteriori studi devono essere condotti in vivo per ampliare la casistica e migliorare la tecnica al fine di ottenere sempre migliori risultati per i pazienti.
Prof . Francesco Lippi
Scuola di Endocrinologia, Università di Pisa
Fonte: Tgcom24