Una recente iniziativa del Corriere della Sera ha lanciato un progetto denominato “Malattia come Opportunità” con l’obiettivo di aiutare la persona ad affrontare la malattia cogliendone gli aspetti positivi e ricondurre il rapporto medico-paziente sul giusto binario dell’alleanza, oggi in crisi per il prevalere di una medicina impersonale che dà troppo spazio all’approccio scientifico e tecnologico. A questo proposito il filosofo Michel Foucault scriveva: “quel che appare all’inizio del XX secolo, è che la medicina può essere pericolosa non a causa della sua ignoranza, ma per il suo sapere, proprio perché essa è una scienza”. Pertanto, quando la malattia viene vissuta nell’esclusivo rigore razionale della conoscenza, si corre il rischio di far scomparire il soggetto nella sua specificità, cioè l’essere umano con le sue crisi di ansia e disperazione. Nella lingua inglese si usano due termini per indicare un diverso approccio alla malattia: “disease” si riferisce alla patologia come definita dalla scienza biologica; “illness” invece indica l’esperienza di malattia vissuta dall’interno in prima persona dal paziente, definisce la sofferenza fisica un’opportunità e invita a superare i limiti del solo approccio biologico e tecnologico. Il francese Gustavo Flaubert aveva comparato il dolore alla perla dell’ostrica: “la perla è una malattia dell’ostrica eppure è una realtà infinitamente preziosa; il dolore è come un raffinamento di noi stessi, una più intensa e completa penetrazione nella nostra anima e nella realtà”. La malattia quindi non deve essere percepita come un non-senso da isolare e combattere, ma bensì uno stato in qualche modo privilegiato, un veicolo significativo di nuove scoperte esistenziali, un’occasione potenzialmente positiva e benefica per scoprire energie nascoste. In sintesi l’iniziativa del Corriere della Sera sollecita a riflettere sulla dimensione antropologica della malattia, con l’intento di accordare uguale attenzione ai due poli del rapporto terapeutico, indagando quanto vivono il mistero della sofferenza sia il medico che il malato. E’ un invito a non interpretare e curare una patologia solo attraverso il sapere e la tecnologia, ma a considerarla anche un’opportunità per guardare ad un orizzonte più ampio, in cui possano emergere testimonianze e domande poste dall’esperienza di malattia riguardo al senso dell’esistenza. In questa prospettiva anche la relazione medicopaziente potrà crescere sul terreno della prossimità.
Prof. Giorgio Lambertenghi Deliliers
“Io non ce l’ho fatta ma vi lascio un messaggio. Ora so meglio di chiunque di che cosa ha bisogno una persona nelle mie condizioni, i suoi familiari e amici: informazione e sostegno per Battere la Leucemia” (Beat Leukemia)