Numerosi studi clinici ed epidemiologici hanno dimostrato come il Disturbo di Panico (DP) tenda a manifestarsi lungo uno ‘spettro di gravità’ e a esprimersi attraverso una molteplicità di manifestazioni cliniche. Esiste una vasta popolazione di soggetti che, pur non soddisfacendo i criteri diagnostici per il DP, hanno sintomi attenuati o incompleti, in grado di produrre comunque un disagio soggettivo. Le varie manifestazioni del panico sono state riunite in modo sistematico nell’ambito dello ‘Spettro Panico-Agorafobico’, un modello fenomenologico che è in grado di estendere e completare l’attuale descrizione di questa rilevante area psicopatologica, con un approccio sostanzialmente differente rispetto ai precedenti.
Ne parliamo con il Dott. Mario Miniati, psichiatra e psicoterapeuta del Centro Medico Visocnti di Modrone
Ecco le principali dimensioni dello ‘Spettro Panico-Agorafobico’:
Ansia di separazione e Sensibilità alla perdita
Tratti di ansia di separazione in età infantile e adulta sono di frequente riscontro nei pazienti con DP. Da bambini, questi pazienti possono ricordare di aver presentato marcate difficoltà a distaccarsi dai genitori i primi giorni di scuola, oppure di aver fatto incubi frequenti sulla separazione dalle figure di riferimento. Nella vita adulta, i sintomi di un’eccessiva sensibilità alla separazione possono manifestarsi sia con la difficoltà a dormire da soli o lontano da casa, sia la difficoltà a separarsi dai familiari, anche per brevi periodi, sia con la tendenza ad un attaccamento eccessivo, fino alla dipendenza nei rapporti di amicizia o in quelli sentimentali. Queste persone possono avere marcate difficoltà ad accettare la fine di una relazione o sviluppare rapporti ‘esclusivi’ nel timore costante di essere abbandonati.
Sintomi di Panico
I sintomi di panico sono la componente più conosciuta del disturbo. Sono ricorrenti e inaspettati attacchi di ansia acuta che insorgono senza preavviso, in assenza di un fattore scatenante e rappresentano l’entità essenziale per la diagnosi di DP. Gli attacchi di panico sono definiti come episodi d’intensa paura o disagio, caratterizzati dalla presenza di almeno quattro sintomi sia somatici (come ad esempio tachicardia, oppressione toracica, vertigini, sudorazioni, tremori, difficoltà a respirare etc.) sia cognitivi (paura di morire, di perdere il controllo della mente o del corpo).
Sensibilità allo stress
I pazienti con DP mostrano un alto grado di vulnerabilità a eventi stressanti anche di ridotta entità. Molti pazienti descrivono attacchi di panico anche per i consueti contrattempi della quotidianità. Una paradossale manifestazione di sensibilità allo stress può essere l’inizio di sintomi di panico in un periodo di riposo o nella fase di sollievo dopo una ‘elevata tensione’ (ad esempio, l’inizio delle palpitazioni dopo aver completato un percorso autostradale complicato o dopo essere usciti da una stanza affollata). Questi soggetti tendono a evitare le situazioni di conflitto interpersonale e i cambiamenti della routine giornaliera che vedono come potenziali fattori di innesco degli attacchi.
Sensibilità ai farmaci e ad altre sostanze
Molti pazienti con DP mostrano un’elevata sensibilità alle sostanze. Singole dosi di farmaci, anche di antidepressivi, ormoni tiroidei o il banale uso del caffè possono scatenare un attacco. I pazienti con DP spesso leggono il foglietto illustrativo dei farmaci con grande attenzione e rifiutano di assumere qualunque tipo di terapia per il timore degli effetti collaterali; pensano di essere allergici a tutti i tipi di farmaci perché il timore degli effetti collaterali induce l’attacco di panico o temono, nel caso delle cure psicofarmacologiche, di ‘vedere cambiata la loro personalità’.
Aspettativa ansiosa
Si può manifestare sia come ‘ansia anticipatoria’ (preoccupazione costante di avere un altro attacco di panico) sia come un persistente ‘stato di ipervigilanza’ (estrema attenzione agli stimoli esterni). L’ansia anticipatoria è strettamente correlata agli attacchi di panico e insorge nelle situazioni che il soggetto teme di affrontare, determinando sul medio termine la comparsa delle condotte di evitamento per le situazioni nelle quali si teme di avere un attacco.
Agorafobia, condotte di evitamento e altre fobie
Le condotte di evitamento (la più conosciuta è l’agorafobia o paura degli spazi aperti, delle prospettive indefinite) costituiscono un tentativo di far fronte allo stress correlato con i sintomi di panico. L’evitamento delle situazioni temute può determinare una diminuzione della frequenza o della gravità degli attacchi, ma riduce l’autonomia individuale. A volte può essere sviluppata una fobia sociale secondaria, ossia il timore di essere umiliati dall’insorgenza dei sintomi di panico in pubblico, con evitamento della occasioni di socializzazione e una marcata diminuzione dei rapporti interpersonali. Altre volte, i pazienti con DP possono avere un’intensa fobia delle malattie, con quadri fenomenologici di difficile distinzione dall’ipocondria. Altra fobia tipica del DP è la claustrofobia, vissuta anche come intolleranza ai potenziali ostacoli alla respirazione, comprese le cravatte, o i maglioni a collo alto. La claustrofobia può anche essere correlata alla qualità dell’aria (smog o fumo).
Sensibilità alla rassicurazione
Il senso di insicurezza e la diminuzione dell’autonomia di azione che frequentemente condizionano molti pazienti con DP inducono la continua ricerca di aiuto e rassicurazione da parte delle figure di riferimento. La ‘presenza’ di figure protettive, i ‘compagni/accompagnatori’ (a volte anche solo contattabili per telefono) può determinare un immediato sollievo dall’ansia. Proprio in ragione della loro sensibilità alla rassicurazione, i pazienti che soffrono di DP continuano a chiedere aiuto e più riescono a ottenere la rassicurazione degli altri più diventano ‘meno autonomi’. Questa sensibilità alla rassicurazione è una probabile spiegazione delle comuni risposte al placebo osservate in passato nei pazienti con DP.
Quali strategie di trattamento..?
La terapia psicofarmacologica del DP è, da anni, incentrata sull’impiego di diverse classi di antidepressivi. Gli antidepressivi serotoninergici (SSRIs) hanno affiancato nella pratica clinica i più datati triciclici (TCAs) e inibitori delle monoamino-ossidasi (IMAOs e RIMAs). Tutte le classi di antidepressivi sono state impiegate in studi controllati randomizzati, sia in doppio cieco sia in aperto. Gli SSRIs, nel loro complesso, sembrano avere pari efficacia e un miglior profilo di tollerabilità rispetto a TCAs e IMAOs. Le benzodiazepine, pur riducendo in maniera significativa i sintomi sul breve termine, possono determinare dipendenza nel trattamento a lungo termine. Attualmente, la Terapia Cognitivo-Comportamentale è considerata la psicoterapia di riferimento per il trattamento del DP. La CBT propone di agire sulle diverse componenti del DP e sui fattori di mantenimento del disturbo stesso, con un percorso individuale breve e limitato nel tempo.
Fonte: TGCOM 24