La Sindrome da Anticorpi Antifosfolipidi (APS) è una patologia autoimmune caratterizzata da trombosi, aborto ricorrente e morte fetale; a queste manifestazioni si associa la presenza in circolo di anticorpi antifosfolipidi dimostrabili mediante test funzionali per la ricerca dell’anticoagulante lupico (LAC) o test immunoenzimatici in fase solida per la ricerca degli anticorpi anticardiolipina (aCL) e anticorpi anti-β2glicoproteina-1 (aβ2GP1). La malattia colpisce prevalentemente soggetti giovani fra i 20 ed i 40 anni. Le donne sono più frequentemente colpite, con una frequenza almeno tre volte superiore a quella dei maschi.
L’APS può presentarsi in forma isolata (in questo caso è definita primaria) oppure associata ad altre patologie autoimmuni, quali il Lupus Eritematoso Sistemico (in questo caso è definita secondaria).
Le manifestazioni cliniche dell’APS sono complesse e in realtà i pazienti spesso interpellano diversi specialisti prima di giungere ad una corretta diagnosi. La principale manifestazione clinica della malattia è rappresentata dalle trombosi, specie a carico delle vene degli arti inferiori.
Il rischio di aborti e l’elevata frequenza di gravidanze a rischio rappresentano un altro importante aspetto di questa malattia. Gli anticorpi antifosfolipidi possono determinare eventi trombotici, anche placentari, ed interferire con la maturazione e differenziazione del trofoblasto causando insufficienza placentare, ritardo di crescita e perdite fetali. La presenza in circolo di anticorpi anti-Ro/SSA e anti-La/SSB può inoltre essere causa nel feto, in circa il 2% dei casi, di un blocco cardiaco congenito.
La terapia dell’APS si basa essenzialmente sull’uso di farmaci che impediscono la coagulazione eccessiva (anticoagulanti e farmaci che impediscono l’aggregazione delle piastrine) e sul controllo della malattia di base nelle forme secondarie. Con l’uso di particolari anticoagulanti (eparina) che non sono dannosi per il feto e con l’aspirina a basse dosi si può evitare l’abortività ricorrente nella stragrande maggioranza dei casi.
Studi recenti suggeriscono che idrossiclorochina, statina, nuovi farmaci anticoagulanti diretti e farmaci biologici (rituximab, eculizumab) possano costituire un’alternativa nei casi in cui la terapia standard si sia rivelata inefficace.
Dott.ssa Francesca Rovelli